NOTA A CASS. CIV., SEZ II, N. 13868 DEL 31 MAGGIO 2018
La natura della vocazione testamentaria avente ad oggetto il diritto di usufrutto universale, cioè l’usufrutto su tutti o parte dei beni del testatore, è da decenni oggetto di discussione tra gli interpreti. Parte della dottrina sostiene la natura di istituzione ereditaria; altra parte, con argomenti altrettanto convincenti, ritiene che “l’usufruttuario universale” sia invece legatario.
Optare per l’una o per l’altra tesi non riveste un interesse meramente teorico ma comporta notevoli riflessi pratici, in ordine alle modalità di acquisizione del lascito, al conseguimento del possesso, al giudice competente per le relative autorizzazioni, alla destinazione dei beni non contemplati nel testamento e infine all’operatività della rappresentazione.
La recente pronuncia della Corte di Cassazione interviene sul tema e, rifiutando ogni aprioristica definizione, sostiene la natura variabile del lascito di usufrutto universale che può essere eredità o legato, in base alla volontà del testatore.
SOMMARIO: 1. IL CASO. 2. L’USUFRUTTO UNIVERSALE COME LEGATO. 3. L’USUFRUTTO UNIVERSALE COME ISTITUZIONE EREDITARIA. 4. CONSEGUENZE PRATICHE. 5. LA SOLUZIONE DELLA CORTE.
1. IL CASO
La sentenza della Corte di Cassazione n. 13868 del 31 maggio 2018 si inserisce nell’ambito di un vivo dibattito intorno alla natura della vocazione, universale o particolare, del lascito di usufrutto su tutti i beni del testatore. La pronuncia offre lo spunto per analizzare i contrapposti orientamenti elaborati dagli interpreti sul tema e apprezzare la ragionevole soluzione offerta dalla Corte.
Il caso da cui origina la decisione in commento presenta i tratti ricorrenti delle controversie ereditarie derivanti dalla presenza di un testamento contenente un lascito di usufrutto universale rivolto, come generalmente accade, al coniuge.
Nella causa in oggetto, la moglie era stata designata dal marito in un testamento pubblico del 1994 come assegnataria dell’usufrutto universale su tutti i beni mobili e immobili nonché della proprietà di una serie di macchinari e attrezzi; ai figli del de cuius veniva attribuita la nuda proprietà di determinati beni. I beni non contemplati spettavano, secondo la volontà del testatore, ai tre figli in pari quota tra loro, gravati dell’usufrutto generale del coniuge. Infine il testatore disponeva che dei debiti rispondessero i figli. Se l’istituzione ereditaria dei tre figli era incontestabile, sorgeva il dubbio circa la natura del lascito al coniuge.
Deceduto il testatore, uno dei figli proponeva nel 2004 atto di citazione nei confronti degli altri successori presso il Tribunale di Lecce, il quale, tra le altre questioni, si pronunciava in ordine alla qualificazione del lascito a favore del coniuge, essendo tale qualificazione prodromica alla risoluzione degli ulteriori profili controversi: la natura di eredità o legato infatti incide sul numero degli eredi e quindi sulla determinazione delle relative quote.
Il tribunale qualificava il lascito di usufrutto universale come istituzione ereditaria. La Corte di Appello di Lecce, discostandosi dalle conclusioni del giudice di prime cure, forniva un’interpretazione diversa, qualificando lo stesso come legato, e più in particolare come legato in sostituzione di legittima.
Proposto il ricorso in Cassazione, la Corte prendendo atto del conflitto giurisprudenziale sul punto, sostiene l’impossibilità di fornire una risposta in astratto nell’uno o nell’altro senso, essendo necessaria un’interpretazione accurata della scheda testamentaria per individuare la direzione della voluntas testantis.
Per comprendere l’esatta portata della pronuncia è necessario aver presente i termini del dibattito dottrinario che si è sviluppato attraverso due contrapposti orientamenti, entrambi autorevolmente sostenuti, in ordine all’inquadramento dell’usufrutto universale.
L’analisi delle motivazioni alla base delle diverse tesi deve essere preceduta da una breve ma opportuna premessa: il problema della qualificazione dell’istituto in esame si è posto originariamente rispetto alla posizione del coniuge superstite cui la legge, prima della riforma del diritto di famiglia del 1975, riservava una quota di usufrutto sui beni del defunto (c.d. usufrutto uxorio). Gli stessi termini del dibattito si sono riproposti, dopo la riforma, rispetto alla successione testamentaria (e non più legittima) devoluta in forza di testamento attribuente al coniuge l’usufrutto vitalizio su tutti i beni del testatore.
2. L’USUFRUTTO UNIVERSALE COME LEGATO
Prima della riforma del diritto di famiglia, che ha soppresso l’istituto dell’usufrutto uxorio, la dottrina (STOLFI, GANGI, SANTORO PASSARELLI, BONILINI) e la giurisprudenza (Cass., 15 febbraio 1979 n. 986; più di recente Cass. 26 gennaio 2010 n. 1557), quasi all’unanimità, qualificavano il coniuge superstite usufruttuario come legatario e non come erede.
Gli stessi argomenti alla base di tale convinzione, nel prosieguo analizzati, sono stati riproposti dopo la riforma per sostenere la natura di legato della disposizione testamentaria di usufrutto universale.
In primo luogo, l’esclusione dell’istituzione ereditaria si trarrebbe dall’art 1010 c.c., dedicato alla responsabilità dell’usufruttuario per le passività dell’eredità: la norma esclude che l’usufruttuario di un’eredità risponda dei debiti ereditari e limita la responsabilità dello stesso al pagamento delle annualità e degli interessi prodotti dai debiti medesimi.
Come noto, la principale differenza tra eredità e legato si riscontra proprio in materia di responsabilità per debiti: mentre l’erede è responsabile, il legatario non lo è, e seppure il testatore avesse imposto a quest’ultimo il pagamento di debiti, la sua responsabilità è limitata al valore della cosa legata; inoltre, nei confronti dei terzi creditori, non è il legatario, bensì gli eredi ad essere obbligati, con la conseguenza che il creditore può pretendere il pagamento da questi ultimi, i quali poi hanno azione di regresso nei confronti del legatario. Il legatario dunque non subentra nella posizione passiva facente capo al defunto.
Da tale premessa emerge con evidenza che l’esclusione di responsabilità in capo all’usufruttuario per i debiti ereditari, operata dall’art. 1010 c.c., comporta l’impossibilità di qualificare lo stesso come erede, essendo la sua posizione più vicina a quello di legatario: egli risponderà solo degli interessi prodotti dai debiti ereditari ma non dei debiti stessi.
In secondo luogo, gli autori che sostengono la natura di legato traggono un rilevante argomento a sostegno della loro tesi dall’art. 1002, 4° comma, c.c.: la norma impone all’usufruttuario l’obbligo di fare l’inventario dei beni e prestare idonea garanzia; egli non può conseguire il possesso dei beni finché non adempie i suddetti obblighi.
La disposizione sarebbe un chiaro indice della natura di legato del lascito di usufrutto universale.
La modalità di conseguimento del possesso dei beni ereditari, infatti, costituisce un decisivo profilo di differenziazione tra eredità e legato.
La distinzione è delineata nell’art. 1146 c.c. rubricato significativamente “Successione nel possesso. Accessione del possesso”: mentre l’erede continua il possesso del de cuius con gli stessi caratteri e le medesime caratterizzazioni del possesso del defunto (ad esempio: buona o mala fede), il successore a titolo particolare (tra cui il legatario) può solo unire al proprio possesso quello del suo autore per goderne gli effetti. In altre parole, il legatario non subentra nella medesima situazione possessoria del testatore, iniziando un nuovo possesso con caratteri parametrati alla sua condizione e situazione psicologica; egli può, tuttavia, beneficiare del periodo di possesso goduto dal suo autore, ai fini dell’usucapione del bene, per esempio.
Tenendo a mente la differenza del possesso nell’erede e nel legatario, si comprende il significato del citato art. 1002 e la sua rilevanza ai fini del dibattito in esame: l’usufruttuario non subentra automaticamente nel possesso dei beni ma deve adempiere gli obblighi di inventario e garanzia imposti dalla legge. Tanto è sufficiente per concludere che il beneficiario di usufrutto universale non è erede ma legatario.
Inoltre, si sostiene che la natura temporanea che caratterizza il diritto di usufrutto (che in ogni caso non può durare oltre la vita del suo titolare) è incompatibile con la perpetuità della condizione dell’erede (semel heres, semper heres).
Infine, un indice a favore della natura di legato dell’istituto in esame è rintracciato nell’art. 550 c.c., che disciplina la c.d. cautela sociniana. L’articolo qualifica espressamente, nella seconda parte del primo comma, il beneficiario di un lascito di usufrutto (anche universale) come legatario.
In definitiva dunque, i sostenitori della tesi illustrata ritengono che l’usufruttuario universale non subentri nell’universum ius, e in quanto tale e per i motivi prima analizzati, deve essere considerato non erede ma legatario.
Anche nell’ipotesi in cui l’usufrutto riguardi tutti i beni del defunto non c’è successione nell’universitas: come acuta dottrina ha fatto notare (SANTORO PASSARELLI), bisogna tener distinto il titolo della vocazione, universale o particolare, che dipende dalla natura dell’oggetto della stessa, rispetto alle modalità di determinazione dell’oggetto del diritto lasciato dal testatore che, nel caso di usufrutto universale, richiede sì un riferimento all’universitas, per individuare i beni su cui grava l’usufrutto, ma non è un diritto sull’universitas. D’altronde, l’universitas è un oggetto di diritto distinto dai singoli beni che la compongono. Tali caratteri non si riscontrano nel lascito di usufrutto che è costituito dalla somma di diritti reali su singoli beni determinati.
3. L’USUFRUTTO UNIVERSALE COME ISTITUZIONE EREDITARIA
La tesi che qualifica il lascito di usufrutto universale come istituzione ereditaria, nettamente minoritaria nella fase anteriore alla riforma del diritto di famiglia, ha progressivamente riscosso consensi in giurisprudenza nella fase successiva, tanto che oggi le pronunce giurisprudenziali sul tema sono altamente oscillanti (tra le pronunce conformi a questo orientamento Cass. 12 settembre 2002 n. 13310; Cass. 24 febbraio 2009 n. 4435).
Non si può negare che tale tesi sia sostenuta da autori parimenti autorevoli (CICU, FERRI) e da argomentazioni parimenti convincenti.
I sostenitori di quest’orientamento confutano ogni singolo argomento della tesi contraria.
In primo luogo, l’art. 1010 c.c. nella parte in cui prevede la responsabilità dell’usufruttuario per gli interessi prodotti dai debiti ereditari, se da alcuni è visto come indice della natura di legato dell’usufrutto, da altri è interpretato come inequivoco segnale a favore della natura ereditaria del suddetto lascito. Infatti, come prima precisato, il legatario non è responsabile delle passività dell’eredità. La circostanza che il legislatore abbia introdotto una forma, anche se limitata, di responsabilità dimostra che l’usufruttuario universale è erede; se fosse legatario non dovrebbe rispondere in nessun modo delle passività.
Quanto al secondo argomento, fondato sul mancato subentro automatico dell’usufruttuario nel possesso dei beni ereditari, la dottrina avanti richiamata supera l’ostacolo ritenendo inapplicabile l’art. 1002 c.c.
Tale disposizione infatti, riguarderebbe solo le ipotesi di costituzione (o alienazione) del diritto di usufrutto per atto inter vivos, e non potrebbe rilevare in materia testamentaria che è regolata da un sistema a sé stante. In presenza quindi di un lascito testamentario di usufrutto, il beneficiario non è tenuto a fare l’inventario né a prestare garanzia, subentrando automaticamente nel possesso dei beni al momento dell’apertura della successione.
Né la natura temporanea del diritto oggetto del lascito può essere d’ostacolo ad un’istituzione ereditaria.
La tesi contraria confonde due piani che devono essere tenuti nettamente distinti: la perpetuità della qualità di erede e la perpetuità dei diritti acquistati: l’erede può essere destinatario anche di diritti temporanei poiché, limitato in tal caso è solo la durata del diritto e non la condizione di erede.
Infine, si contesta la rilevanza dell’art. 550 che è dedicato ad un’ipotesi specifica ed è inoltre testualmente limitato al lascito di usufrutto, senza possibilità di estensione all’ipotesi di usufrutto universale.
In definitiva, i fautori di tale orientamento considerano il lascito di usufrutto universale come un’istituzione ereditaria sulla base dell’incontestabile criterio di qualificazione contenuto nell’art. 588 c.c.
La norma fornisce il criterio per distinguere l’istituzione a titolo universale da quella a titolo particolare: l’erede succede nell’universalità o in una quota del patrimonio del defunto, laddove il legatario è beneficiario di una disposizione avente ad oggetto beni determinati. Se dunque il beneficiario è destinatario del diritto di usufrutto su tutti o parte dei beni del testatore, egli è un successore nell’universalità al pari di qualunque altro erede. Nè tale conclusione può essere sconfessata dall’obiezione che l’usufruttuario è titolare di una situazione nuova, non esistente nel patrimonio del defunto. Infatti neanche la nuda proprietà è situazione esistente in capo al defunto che era pieno proprietario, per cui si dovrebbe ammettere che anche il lascito di nuda proprietà potrebbe realizzarsi solo attraverso un legato; inoltre, l’eredità non implica necessariamente successione in senso tecnico, potendo accompagnarsi a modificazioni dei rapporti coinvolti.
4. CONSEGUENZE PRATICHE
Il dibattito sulla natura dell’usufrutto universale non ha una rilevanza meramente teorica ma presenta dei notevoli riflessi pratici.
Optare per l’una o per l’altra ricostruzione comporta infatti, significative differenze in ordine a molteplici profili.
In primo luogo, muta la modalità di acquisizione del lascito: se l’usufruttuario è erede è necessario un atto di accettazione, espressa o tacita, soggetto al termine di prescrizione decennale; se invece è legatario, egli consegue il lascito automaticamente senza necessità di alcuna manifestazione di volontà, salva la facoltà di rinuncia.
Da tale distinzione discendono riflessi in ordine al regime di trascrizione nell’ipotesi in cui l’usufrutto gravi su beni immobili: nel primo caso, dovrà essere trascritto l’atto di accettazione espressa o l’atto che costituisce accettazione tacita; nel secondo caso oggetto della trascrizione è il verbale di pubblicazione del testamento olografo o di registrazione del testamento pubblico.
E’ diversa poi l’autorità giudiziaria competente ad autorizzare l’alienazione dell’usufrutto, nel caso in cui l’usufruttuario sia un incapace. Se si tratta di eredità, la competenza spetta, ai sensi dell’art. 747 c.p.c., al Tribunale del luogo di apertura della successione. Se si tratta di legato, si è al di fuori dell’ambito dell’art. 747, per cui è competente il giudice tutelare per i minori, e il tribunale ordinario per gli interdetti e inabilitati.
Ulteriore conseguenza pratica di rilievo è la partecipazione alla comunione ereditaria e quindi alla successiva fase divisoria. Solo l’erede è parte della comunione ereditaria ed è dunque litisconsorte necessario della divisione.
Muta il subentro nella posizione possessoria, nei termini primi indicati.
Inoltre non è da trascurare il riflesso prodotto sull’istituto della rappresentazione. In estrema sintesi, la rappresentazione, disciplinata all’art. 467 c.c., trova applicazione se il successore, che sia figlio o fratello del de cuius, non voglia o non possa accettare l’eredità e il defunto non abbia previsto alcuna sostituzione. In tal caso, subentrano al posto del chiamato non accettante i suoi discendenti. La norma, nella sua ultima parte, esclude l’operatività della rappresentazione per l’ipotesi del legato di usufrutto.
Se dunque l’usufruttuario universale è considerato erede, opera la rappresentazione: qualora costui (purchè sia figlio o fratello del de cuius) non voglia o non possa accettare, subentreranno nella sua posizione i suoi discendenti. Se al contrario è legatario, la rappresentazione non può aver luogo e, sussistendone i presupposti, si applicheranno i meccanismi dell’accrescimento o si verificherà l’apertura della successione legittima.
Infine, se la responsabilità per le passività è insensibile alla qualificazione del lascito vista l’applicazione della normativa specifica dell’art. 1010 c.c., è diversa la devoluzione dei beni non contemplati nel testamento. La qualificazione dell’usufruttuario universale come erede comporta che egli estenda il suo diritto di usufrutto anche ai beni sopravvenuti al momento del testamento; estensione che non potrà verificarsi se egli è legatario, essendo il suo diritto limitato alla specifica disposizione testamentaria.
5. LA SOLUZIONE DELLA CORTE
Di fronte alla difficoltà di prendere posizione tra i due orientamenti, sostenuti con autorevoli e convincenti motivazioni, la recente giurisprudenza si presenta incerta, sposando in alcuni casi una ricostruzione e in altrettanti l’altra.
La pronuncia in commento ammette tale incertezza e condivisibilmente esclude la possibilità di affermare in astratto quale delle due ricostruzioni sia preferibile.
La Corte arriva alla conclusione che il lascito di usufrutto universale non ha una qualificazione a priori, ma spetta all’interprete di verificare se in concreto il testatore ha voluto rendere il beneficiario erede o legatario.
Il testamento infatti è soggetto alle medesime regole interpretative del contratto, ad esclusione delle norme incompatibili con la natura di atto unilaterale non recettizio propria del testamento.
Rispetto al sistema contrattuale tuttavia, l’interpretazione della scheda testamentaria deve essere operata mediante un’indagine attenta e accurata della volontà del testatore che rappresenta l’elemento sovrano di tutta la materia. L’intenzione del testatore deve essere ricercata in primo luogo attraverso l’analisi approfondita del testamento considerato nel suo complesso e non come insieme di disposizioni autonome e separate; se ciò non fosse sufficiente a fornire materiale sufficiente all’interprete, si potranno prendere in considerazione elementi estrinseci consistenti ad esempio in altri scritti o nello studio del carattere e della personalità del defunto.
Mediante l’accurata attività d’indagine, l’interprete basandosi su indizi contenuti prevalentemente nella scheda, potrà formarsi un’idea sulla natura della vocazione dell’usufruttuario. Così se ad esempio il testatore ha esteso il diritto di usufrutto anche ai beni non contemplati nel testamento, o ha imposto all’usufruttuario il pagamento dei debiti ereditari, o ha fissato un termine per l’accettazione, probabilmente egli aveva l’intenzione di realizzare un’istituzione ereditaria.
Nel caso di specie, la Corte, ritenendo insufficiente l’analisi che il giudice di secondo grado ha effettuato intorno al testo testamentario, accoglie il ricorso promosso e rinvia la causa alla Corte di Appello per una revisione della decisione alla luce delle indicazioni fornite dalla Cassazione.
La pronuncia, se da un lato non soddisfa gli interpreti, che auspicavano e auspicano una decisa e definitiva presa di posizione della Corte per evitare incertezze e dubbi, dall’altro è certamente da condividere perché si mostra sensibile alle esigenze peculiari del sistema mortis causa che, a differenza di quello contrattuale, non tollera aprioristiche classificazioni ma è al contrario dominato dalla voluntas testantis. Volontà che per essere rispettata deve essere accuratamente ricercata e interpretata nel segno di una rigorosa esecuzione dell’intenzione del testatore che è sovrano.
GIURISPRUDENZA
In tema di usufrutto universale quale legato
– Cass. Civ., 26 gennaio 2010, n. 1557: L’attribuzione da parte del testatore del solo usufrutto non conferisce al beneficiario la qualità di erede perchè egli non succede in tal caso nell’“universum jus” del defunto (Cass. 15-2-1979 n. 986), cosicchè non è necessaria la partecipazione al giudizio di divisione dell’usufruttuario che non rivesta altresì la qualità di erede (Cass. 8-6-2001 n. 7785), come appunto nella fattispecie.
In tema di usufrutto universale quale istituzione ereditaria:
– Cass. civ., 24 febbraio 2009, n. 4435: L’attribuzione per testamento dell’usufrutto generale su tutti i beni, comprendendo l’“universum ius” ai sensi dell’art. 588 c.c. e dunque conferendo al designato un titolo potenzialmente idoneo ad estendersi ad ogni bene, configura un’istituzione di erede.
In tema di interpretazione del testamento:
– Cass. civ., 24 febbraio 2009, n. 4435: Nell’interpretazione del testamento il giudice deve accertare, secondo il principio generale di ermeneutica enunciato dall’art. 1362 c.c., applicabile, con gli opportuni adattamenti, anche in materia testamentaria, quale sia stata l’effettiva volontà del testatore comunque espressa, considerando congiuntamente ed in modo coordinato l’elemento letterale e quello logico dell’atto unilaterale “mortis causa”, salvaguardando il rispetto, in materia, del principio di conservazione del testamento. Tale attività interpretativa del giudice del merito, se compiuta alla stregua dei suddetti criteri e con ragionamento immune da vizi logici, non è censurabile in sede di legittimità.
DOTTRINA
L. BIGLIAZZI GERI, Delle successioni testamentarie, in Commentario Scialoja-Branca, Zanichelli, 1993, 106; G. BONILINI, Il lascito di usufrutto universale, in Famiglia, Persone e successioni, 2010, 245; G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, a cura di Ferrucci e Ferrentino, Giuffrè, Milano, 2015, 74; A. CICU, Successioni per causa di morte, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1961, 29; E. DE BELVIS, Lascito di usufrutto universale e titolo della vocazione, in Nuova Giur. Civ., 2009, 950; C. GIANNATTASIO, Delle successioni. Successioni testamentarie, in Commentario Utet, Utet, 1978, 26; F. SANTORO PASSARELLI, Legato di usufrutto universale, in Saggi di diritto civile, Napoli, 1951, 725; C. SGOBBO, Sulla discussa natura del lascito di usufrutto universale, in Giur. It., 2011, 3; G. Stolfi, Sul lascito dell’usufrutto universale, in Foro Pad., 1949, 123.
Giulia Torrelli